Crolla l’uso di antibiotici in zootecnia
Ci vuole impegno, ma ridurre l’uso di antibiotici si può e gli allevamenti europei lo hanno dimostrato, tanto che il ricorso a questi farmaci è crollato del 12% nello scorso anno.
Negli ultimi dieci anni la riduzione si attesta così in oltre il 50%, lasciando sperare nel raggiungimento anticipato degli obiettivi fissati per il 2030 dal progetto europeo Farm to Fork, che mira a dimezzare l’impiego di antibiotici rispetto al consumo registrato nel 2018, dunque oltre i livelli già raggiunti. Fra i 31 paesi monitorati (pertanto non solo quelli aderenti all’Unione Europea), l’Italia si colloca ai primi posti in questa graduatoria al ribasso. Il calo registrato nel nostro Paese tocca il 57,5%, superando così la media europea (53%).
Sono queste, in estrema sintesi, le principali evidenze emerse dal 13esimo rapporto di ESVAC (European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption), istituto voluto da EMA (European Medicine Agency) per monitorare le vendite di antibiotici. Il perché di tanta attenzione a questa tipologia di farmaci è connessa alla crescente crescita del numero di batteri resistenti agli antimicrobici. Disincentivare un uso improprio degli antibiotici è uno degli strumenti più efficaci e immediati per ridurre questo fenomeno che rischia di mettere fuori gioco presidi sanitari che possono a pieno titolo definirsi dei “salva vita”. Quale sia la dimensione del fenomeno è evidenziato dai 35mila decessi che ogni anno si verificano in Europa e che sono ascrivibili a fenomeni di antibiotico resistenza, come si apprende dalle recenti stime di ECDC, il Centro europeo per il controllo delle malattie.
Il report di ESVAC entra poi nel dettaglio del consumo delle varie categorie di antibiotici. Si scopre così che negli allevamenti è crollato l’impiego di alcuni principi attivi (polimixine, chinoloni, cefalosporine e altri) che hanno particolare importanza in medicina umana. Evitarne l’uso in medicina veterinaria contribuisce a rallentare lo sviluppo di batteri resistenti a questi farmaci. Un ulteriore testimonianza dell’impegno del mondo veterinario e zootecnico che responsabilmente rinuncia a strumenti terapeutici che negli animali hanno grande efficacia.
Negli ultimi dieci anni la riduzione dell'uso di #antibiotici negli #allevamenti europei è stato di oltre il 50%. Il calo registrato in Italia tocca il 57,5%, superando così la media europea. Condividi il Tweet
Meno antibiotici negli allevamenti si traduce in meno residui nei prodotti di origine animale. La conferma arriva dalle puntuali verifiche di EFSA, l’Ente europeo per la sicurezza alimentare. L’ultimo rapporto, pubblicato nel febbraio di quest’anno, mostra percentuali insignificanti (appena lo 0,17% su circa seicentomila campioni esaminati). Residui peraltro non riferibili solo agli antibiotici, ma anche ad altre sostanze, comprese quelle di origine ambientale. L’assenza di residui indesiderati è anche merito del rispetto dei “tempi di sospensione” previsti per ogni farmaco. Si tratta del periodo di tempo che deve trascorrere fra la fine del trattamento e l’immissione in commercio delle carni o del latte.
Calcolare il consumo di antibiotici negli animali e confrontare la situazione fra i diversi paesi che aderiscono al progetto richiede alcuni accorgimenti. Occorre infatti tenere conto delle quantità di principio attivo utilizzato, ma anche del numero di animali trattati. Per ottenere numeri fra loro confrontabili ci si affida alla “PCU” (dall’inglese population correcting unit) che trasforma il patrimonio zootecnico di ogni singolo paese in unità omogenee. Il consumo di ogni principio attivo viene così calcolato in milligrammi per ogni PCU. Si nota così una grande variabilità fra una nazione e l’altra. Agli estremi troviamo la Polonia (196 mg/CPU) e all’opposto la Norvegia (2,1 mg/PCU), paese quest’ultimo dove però la zootecnia ha dimensioni modeste. L’Italia, dopo la correzione al ribasso dell’ultimo anno monitorato, si ferma a 157,5 mg/PCU, in linea con gli altri paesi a zootecnia evoluta.
Nell’analizzare l’andamento del consumo di antibiotici assume importanza anche la verifica sui modelli di impiego di questi farmaci. Il report mette in evidenza il consistente calo delle formulazioni destinate ai trattamenti di gruppo in confronto agli interventi su singoli animali. Intuibile come ciò consenta di limitare l’impiego del farmaco ai soli animali che necessitano di terapie mirate. Un’ulteriore dimostrazione dell’impegno del settore zootecnico nel contrastare l’antibiotico resistenza.
Negli #allevamenti è crollato l’impiego di alcuni #PrincipiAttivi che hanno particolare importanza in #medicina umana, contribuendo a rallentare lo sviluppo di #batteri resistenti. Condividi il Tweet
Il modello sin qui seguito per monitorare il consumo di antibiotici è però destinato a un aggiornamento. I dati elaborati da ESVAC si basano sui dati di vendita del farmaco veterinario. Il prossimo rapporto, atteso per il 2025, prenderà invece in esame il consumo di questi stessi farmaci. Si eviteranno in questo modo possibili errori di valutazione, ad esempio nella distinzione fra farmaci destinati agli animali da affezione rispetto a quelli da reddito. Nella raccolta di questi dati l’Italia si trova in una posizione di vantaggio avendo da tempo introdotto la ricetta elettronica, grazie alla quale è possibile tracciare il percorso e la destinazione di ogni farmaco. Queste informazioni, messe in relazione con la banca dati dell’anagrafe zootecnica, offrirà un quadro particolareggiato sul reale consumo di farmaci, evitando possibili errori fra venduto e consumato e sulla destinazione di ogni farmaco. Il numero preponderante di ricette emesse dal 2019 destinate agli animali da affezione (oltre 34 milioni) rispetto a quelle per gli animali da reddito (circa tre milioni) lascia infatti spazio a possibili errate interpretazioni sui consumi reali. Il prossimo rapporto potrà offrire informazioni più dettagliate e confermare un ulteriore e importante calo nell’uso di antibiotici negli animali in produzione zootecnica.