
Quando la carne rossa protegge dal diabete
Un nuovo studio fa emergere il ruolo protettivo della carne rossa contro il diabete, e sostituisce l’idea che “più frutta e verdura sia sempre meglio” con una logica di equilibrio.
Frutta e verdura fanno bene, la carne rossa fa male. È questa la regola aurea che da anni guida raccomandazioni nutrizionali, campagne di salute pubblica e linee guida cliniche per la prevenzione del diabete. Ma cosa accade se si cambia prospettiva e si osservano i dati su scala globale, analizzando oltre dieci anni di informazioni da 175 Paesi? Lo studio pubblicato nel 2025 su Nutrients da Yuan e colleghi mette in discussione alcuni di questi assunti, proponendo un’analisi dettagliata e sorprendente sulle relazioni tra consumo alimentare e carico di malattia da diabete, espressa in termini di incidenza, mortalità e DALY (anni di vita persi corretti per disabilità).
Più carne rossa, meno diabete
Il risultato più inatteso riguarda la carne rossa. Contrariamente a quanto riportato in numerosi studi osservazionali condotti in popolazioni occidentali (ad esempio quelli citati da Gu et al., 2023, e Schwingshackl et al., 2017), lo studio di Yuan et al. mostra che il consumo pro capite di carne rossa è linearmente e inversamente associato all’incidenza del diabete: più carne rossa viene consumata, minore è il numero di nuovi casi diagnosticati. Si tratta dell’unico alimento tra i tre analizzati (verdure, frutta, carne rossa) a mostrare un effetto di protezione costante, senza soglie di rischio intermedie. Come precisano gli autori, “L’ASIR è diminuito linearmente con un maggiore consumo di carne rossa”, un risultato attribuito all’apporto di ferro eme e proteine ad alto valore biologico, capaci di migliorare la sensibilità insulinica e ridurre i picchi glicemici post-prandiali.
Naturalmente, la carne rossa non è esente da effetti avversi. La sua associazione con la mortalità e il carico globale di malattia mostra una tipica curva a U, con un minimo intorno a 200 kcal pro capite al giorno. Tuttavia, al di sopra di questa soglia, il rischio cresce lentamente e con intervalli di confidenza piuttosto ristretti, il che indica un effetto potenzialmente contenuto rispetto a quanto tradizionalmente temuto. Gli autori osservano che “un moderato aumento della carne rossa può ridurre il carico di malattia, ma un consumo eccessivo aumenta l’ASMR e l’ASDR”, ma sottolineano anche che l’effetto protettivo resta valido entro un ampio margine. È interessante notare che molte popolazioni si trovano al di sotto di tale soglia ottimale, mentre altre (come statunitensi ed europei, ma non italiani) ne superano regolarmente i limiti, confermando la necessità di linee guida differenziate per regione.
Un consumo eccessivo di verdure può portare a squilibri nutrizionali
Decisamente più ambigue risultano le relazioni tra consumo di verdure e carico di malattia. Sebbene esista un’associazione inversa tra consumo di verdure e incidenza del diabete, essa è relativamente modesta e si osserva solo oltre i 150 kcal pro capite al giorno. Più problematico è il rapporto con la mortalità e i DALY: qui, la curva assume una forma a J, con un rischio minimo intorno a 80 kcal/giorno e un marcato incremento oltre tale soglia. Secondo gli autori, un consumo eccessivo di verdure può portare a squilibri nutrizionali — in particolare carenze di proteine e aminoacidi essenziali — oltre a un’esposizione a prodotti tossici derivati da metodi di cottura ad alta temperatura (AGEs), capaci di promuovere stress ossidativo e infiammazione. Questi risultati si discostano in parte da quelli ottenuti in studi come EPIC-InterAct, che fissavano la soglia protettiva a circa 400 g al giorno, ma che, a differenza dello studio in questione, si basavano su dati individuali e su un contesto geografico omogeneo.
E la frutta? Attenzione agli eccessi si fruttosio
Anche per la frutta, lo studio propone una visione meno lineare del previsto. Non si osserva alcuna relazione significativa con l’incidenza o la mortalità da diabete, ma emerge una chiara curva a U rispetto al carico di malattia (ASDR), con un intervallo di protezione compreso tra 40 e 100 kcal pro capite al giorno. Al di sopra di questa soglia, il rischio cresce visibilmente, probabilmente per effetto del fruttosio in eccesso, associato a resistenza insulinica e disfunzioni metaboliche. Gli autori osservano che “un eccesso di fruttosio (>100 kcal/giorno) potrebbe compromettere la sensibilità attraverso la resistenza all’insulina e lo stress ossidativo”, una considerazione che mette in discussione l’automatismo con cui la frutta viene raccomandata come alimento illimitatamente salutare. Va ricordato che alcuni studi, come PREDIMED-Plus, avevano osservato una relazione lineare inversa tra frutta e rischio cardiometabolico, ma in quel caso la frutta era consumata all’interno di un pattern mediterraneo complesso, il che ne limitava gli effetti collaterali.
Le relazioni tra alimentazione e diabete non sono né semplici né lineari
Nel complesso, il messaggio dello studio è chiaro: le relazioni tra alimentazione e diabete non sono né semplici né lineari. Esistono soglie ottimali e curve di rischio non monotone, che variano per tipo di alimento e per indicatore di malattia. L’idea che “più frutta e verdura sia sempre meglio” viene sostituita da una logica di equilibrio: sia il deficit che l’eccesso possono essere dannosi. Al contrario, la carne rossa, spesso demonizzata, mostra in questo studio una finestra protettiva ampia e ben definita, specie in relazione alla prevenzione primaria.
Più che un ribaltamento, si tratta di una richiesta di complessità: le raccomandazioni dietetiche dovrebbero fondarsi su dati contestuali, valutare non solo i singoli alimenti ma anche il loro inserimento in modelli alimentari e tener conto delle differenze geografiche, culturali e sanitarie tra le popolazioni. Gli autori stessi lo affermano chiaramente: “Le diverse regioni presentano modelli diversi di consumo e di carico di malattia, evidenziando la necessità di linee guida dietetiche personalizzate.”
In un’epoca in cui i messaggi nutrizionali tendono alla semplificazione estrema, lo studio di Yuan et al. ci ricorda che la scienza dell’alimentazione non è fatta di slogan, ma di curve, soglie e contraddizioni. E che per affrontare il diabete serve più conoscenza e meno ideologia.