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Carne finta? “Questa non è una bistecca”

Con lo slogan “Ceci n’est pas un steak” le organizzazioni europee che rappresentano le filiere delle carni e dei salumi insorgono contro la proposta di utilizzare nei prodotti iperprocessati a base vegetale le definizioni che richiamano la carne.

Prendi ad esempio la salsiccia: insicia, come la chiamavano i latini, incrocio di insicium, insicia, “carne tritata”, con salsicius, “salato”. Evidente nel suo nome la coesistenza dei due ingredienti sale e carne. Il primo, impareggiabile nella conservazione dei cibi, talmente prezioso nei secoli passati da essere usato come una moneta, una merce di scambio. Il secondo, l’alimento nobile per eccellenza. Oggi quando dici salsiccia sai di cosa parli, cosa stai per mettere nel piatto. Stessa cosa per hamburger, che pur avendo meno storia alle spalle, si dichiara per quello che è: carne tritata. E altri esempi si potrebbero fare, tutti con protagonista la carne.

Ma ora per tutti c’è meno certezza e il rischio di fare confusione aumenta. Accade quando si parla di salsiccia vegana, di hamburger vegano, di carne “vegetale” e via elencando. Contraddizioni in termini che però fanno gola al marketing, che senza sforzo alcuno si richiama alla carne per evocare sapori, aromi e nutrienti che non appartengono alle preparazioni vegetali, che al massimo possono tentare un’imitazione, mai del tutto riuscita.

Per non parlare degli apporti nutritivi, assai diversi per quanto ci si sforzi di mettere insieme proteine, vitamine, sali minerali e molto altro. Un insieme di materie prime ultraprocessate nel tentativo di sembrare ciò che non sono. Un po’ di fantasia in più nel cercare un nome a questi prodotti non guasterebbe, senza prendere in prestito definizioni che richiamano la carne. Nome che dovrebbe peraltro essere inviso a quanti hanno bandito dalle loro tavole i prodotti di origine animale.

Invece al Parlamento di Bruxelles si torna a dare sostegno alle denominazioni dei prodotti a base vegetale che evocano la carne. L’europarlamentare Eric Andrieu, vorrebbe affidare alla Commissione europea il compito di fissare i confini sull’uso delle definizioni dei prodotti a base vegetale. Proponendo che siano liberamente usati nomi come bistecca o hamburger, che secondo l’europarlamentare francese non possono essere riservati solo alla carne. Poi nessun vincolo di denominazione per prodotti come la bistecca di soia o di mais, le salsicce vegetali, o gli hamburger vegani. Unica condizione l’indicazione dell’assenza di carne. Che suona in questi casi come un plus, piuttosto che una limitazione.

Posizione criticabile sotto il profilo nutrizionale e temibile per le possibili conseguenze economiche e sociali. Si rischia di confondere i consumatori, di indirizzarne le scelte, di condizionarne gli acquisti. Con in più il rischio che storie millenarie come quella della salsiccia vadano perse. Gli allevatori e tutto il mondo della carne non ci stanno e vogliono evitare questo rischio. Ed ecco partire la campagna “Ceci n’est pas un steak”, indovinato slogan che si potrebbe tradurre con “questa non è una bistecca”, lanciata da un gruppo di organizzazioni europee che rappresentano il mondo zootecnico. Fra queste Copa-Cogeca (in rappresentanza degli agricoltori europei), CLITRAVI (in rappresentanza dei produttori di salumi europei), EFFAB (allevamento e riproduzione animale), AVEC (avicoltori europei), IBC (carni fresche e trasformate) e UECBV (commercianti europei di animali e carni).

Con questa iniziativa, ha ricordato Jean-Pierre Fleury, presidente del gruppo carni bovine in seno al Copa-Cogeca, non si intende contrastare lo sviluppo di nuovi alimenti, ma solo rispettare il lavoro di milioni di allevatori europei. “Non ho paura – ha affermato Fleury – di dire che questo è un caso evidente di dirottamento culturale. Si promuove l’idea – ha continuato – che la sostituzione di un prodotto con un altro non abbia conseguenze sull’apporto nutrizionale”.

Il manifesto della campagna di informazione lanciata dalle organizzazioni europee ricorda che gli agricoltori sono impegnati nella produzione di proteine vegetali e animali e non intendono porsi in contrapposizione con scelte nutrizionali che escludono la carne. Ma si chiede a gran voce che sia risolto il paradosso che vede promuovere prodotti vegani facendo riferimento alla carne. Se un prodotto gode delle preferenze del mercato e soddisfa le attese dei consumatori non ha bisogno di presentarsi come una banale imitazione. E non sfugge che proprio la carne sia al centro di false informazioni tese a colpevolizzarne il consumo. Intuibile come alle spalle di tutto ciò possa raffigurarsi un abile lavoro di lobbying, motivato dai forti interessi in campo.

Ora si attende la decisione del Parlamento europeo, chiamato a esprimersi sulla proposta di Eric Andrieu. In vista di quel momento, si moltiplicheranno le iniziative che sotto lo slogan francese “ceci n’est pas un steak” punteranno a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle denominazioni della carne. Con l’obiettivo di arrivare a chiamare carne ciò che è carne, per evitare il rischio di acquistare in futuro un hamburger che tale non è. Solo correttezza. N’est ce pas?

 

Cliccate una volta sulle immagini qui sotto per aprirle e poi un’altra volta per ingrandirle. Potrete così leggere la lunga lista di ingredienti che compongono i prodotti iperprocessati spacciati per più salutari e più sostenibili delle carni e del salumi.

Giornalista professionista, laureato in medicina veterinaria, già direttore responsabile di riviste dedicate alla zootecnia e redattore capo di periodici del settore agricolo, ha ricoperto incarichi di coordinamento in imprese editoriali. Autore di libri sull'allevamento degli animali, è impegnato nella divulgazione di temi tecnici, politici ed economici di interesse per il settore zootecnico.