
OECD-FAO, ripensare il ruolo della carne nelle linee guida alimentari
Il rapporto congiunto OECD-FAO sulle prospettive agricole 2024–2033 offre un’analisi decennale dei mercati agricoli e ittici, evidenziando il ruolo cruciale della carne nel dibattito sulle linee guida alimentari.
Negli ultimi anni, il forte aumento dei costi degli input agricoli ha sollevato notevoli preoccupazioni in merito alla sicurezza alimentare globale. L’Outlook Agricolo OCSE-FAO 2024–2033, giunto ormai alla sua ventesima edizione, offre una proiezione completa a dieci anni dei mercati delle materie prime agricole e ittiche a livello nazionale, regionale e globale. Prodotto congiuntamente dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE, OECD in inglese) e dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), con il contributo dei Paesi membri e di organizzazioni internazionali di settore, l’Outlook è diventato un punto di riferimento essenziale per la pianificazione delle politiche agricole.
Le recenti revisioni metodologiche nella stima del consumo di carne, che finalmente misura i consumi reali anziché i consumi apparenti, hanno rivelato un calo significativo, con riduzioni marcate per il pollame negli Stati Uniti (−17,2 kg pro capite) e nei Paesi OECD (−10,4 kg). Questo cambiamento, però, più che un’effettiva trasformazione delle abitudini alimentari, deriva appunto da una correzione che tiene conto di perdite e sprechi alimentari lungo la catena di approvvigionamento. Tale evoluzione solleva interrogativi profondi sulla validità delle attuali raccomandazioni dietetiche e sul ruolo nutrizionale della carne in contesti globali diversificati.
Le linee guida esistenti sottovalutano l’importanza della carne
Un primo punto critico riguarda la possibilità che le linee guida esistenti sottovalutino l’importanza della carne come fonte di nutrienti essenziali, come proteine, ferro e vitamina B12, specialmente in regioni dove il consumo reale è già inferiore alle soglie raccomandate. I dati più accurati suggeriscono che in molte aree, specialmente nei Paesi a basso e medio reddito, l’assunzione di carne è significativamente inferiore rispetto a quanto stimato in precedenza.
Questo pone la necessità di riconsiderare se le raccomandazioni dietetiche, spesso orientate a ridurre il consumo di carne per motivi ambientali, rischino di aggravare carenze nutrizionali in popolazioni vulnerabili. Ad esempio, nei Paesi a basso reddito, dove l’accesso a diete ricche di nutrienti è limitato da barriere economiche, le linee guida devono riflettere non solo gli obiettivi di salute pubblica, ma anche la reale disponibilità di alimenti di origine animale.
Serve bilanciare obiettivi nutrizionali e sostenibilità
Un altro aspetto fondamentale è il bilanciamento tra obiettivi nutrizionali e sostenibilità, ambientale e non solo. La carne, spesso al centro del dibattito sul cambiamento climatico per il suo impatto in termini di emissioni di gas serra, rimane una componente chiave di diete equilibrate in molte culture. Le linee guida alimentari devono quindi trovare un equilibrio che non scoraggi il consumo di carne nelle popolazioni con assunzioni già marginali, promuovendo al contempo pratiche produttive più sostenibili, come l’allevamento a basse emissioni o la gestione efficiente delle risorse.
Questo è particolarmente rilevante in regioni come l’India e il Sud-est asiatico, che, secondo il rapporto, guideranno il 31% dell’aumento della domanda globale di carne e altri prodotti agricoli entro il 2033, superando la Cina grazie alla crescita economica e demografica. Tuttavia, nei Paesi a basso reddito, l’incremento dell’apporto calorico derivante da carne e altri alimenti sarà solo del 4%, un progresso insufficiente per raggiungere l’obiettivo “Fame Zero” (SDG 2) entro il 2030.
La chiave è ridurre gli sprechi
La riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari emerge come una strategia chiave per affrontare sia le sfide nutrizionali che quelle ambientali. Il rapporto stima che dimezzare gli sprechi entro il 2033 potrebbe ridurre del 4% le emissioni agricole e migliorare la sicurezza alimentare per 153 milioni di persone denutrite. Le linee guida alimentari devono poi considerare l’impatto economico di raccomandazioni restrittive sul consumo di carne, soprattutto per le comuità rurali, valutando se tali misure apportino benefici nutrizionali e ambientali proporzionati o se, invece, rischino di danneggiare i mezzi di sussistenza degli agricoltori senza miglioramenti significativi per la salute pubblica.
Un ulteriore aspetto da approfondire è la necessità di approcci sistemici che tengano conto delle perdite lungo l’intera catena di approvvigionamento alimentare, non solo a livello del consumatore. Le attuali linee guida tendono a concentrarsi sulla riduzione del consumo individuale di carne, ma una gestione più efficiente della produzione, della distribuzione e della conservazione potrebbe avere un impatto maggiore. Ad esempio, migliorare le infrastrutture per il trasporto e lo stoccaggio della carne nei Paesi in via di sviluppo potrebbe ridurre gli sprechi e aumentare la disponibilità effettiva di questo alimento, senza richiedere un incremento della produzione che graverebbe sull’ambiente.
Servono politiche che garantiscano flussi commerciali stabili
Il commercio internazionale, che rappresenta il 20% delle calorie globali scambiate, gioca un ruolo cruciale nella sicurezza alimentare legata alla carne. Tuttavia, tensioni geopolitiche e crisi sanitarie hanno evidenziato la vulnerabilità delle catene di approvvigionamento. L’Asia e l’Africa, in particolare, aumenteranno la loro dipendenza dalle importazioni di carne e altri prodotti agricoli, mentre America Latina, Nord America ed Europa rafforzeranno il loro ruolo di esportatori. Questo scenario sottolinea l’importanza di politiche che garantiscano flussi commerciali stabili, soprattutto per i Paesi a basso reddito dove la carne importata può colmare lacune nutrizionali.
In conclusione, le linee guida alimentari devono evolversi per integrare i nuovi dati sul consumo reale di carne, riconoscendone il ruolo nutrizionale senza trascurare gli imperativi ambientali. Un approccio olistico, che promuova l’efficienza della catena di approvvigionamento, sostenga i produttori e rifletta le specificità economiche e culturali di ogni regione, è essenziale. Solo così si potrà garantire che le raccomandazioni dietetiche siano realistiche, inclusive e in grado di affrontare le complesse sfide nutrizionali, ambientali ed economiche del prossimo decennio.