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La carne italiana non contiene ormoni e antibiotici

Lo sentiamo dire spesso: le carni che mangiamo sono piene di ormoni e di antibiotici. Ma è veramente così? Una volta per tutte: no! Ecco perché.

Ancora oggi è molto radicata la convinzione che la carne sia piena di ormoni e di antibiotici. Eppure l’evidenza parla chiaro. In Italia, gli antibiotici si possono utilizzare solo se strettamente necessari, mentre l’uso di sostanze ad attività ormonale, come gli ormoni della crescita, è assolutamente vietato nel settore zootecnico dal 1981, cioè da ben 43 anni. Divieto che vale per tutta l’Ue. In alcuni Paesi extra-europei, la somministrazione di sostanze per stimolare la crescita degli animali è ancora consentita, perché non esistono studi che provino con assoluta certezza che queste sostanze siano dannose per la salute. Tuttavia, in mancanza di prove certe, l’Europa e l’Italia hanno preferito adottare il Principio di Precauzione, vietando dal 1988 anche l’importazione (ad esempio dal Nord America) di carni bovine trattate con ormoni della crescita.

Come si può essere sicuri che il divieto venga rispettato? La conferma arriva dai controlli molto rigorosi e dalle migliaia di analisi condotte annualmente dalle Autorità competenti, che valutano la presenza di residui di trattamenti farmacologici. Basti pensare che, nel 2021, nell’ambito del Piano Nazionale Residui, su 30.263 accertamenti con analisi che riguardano più di 466mila diverse sostanze, sia ad attività farmacologica sia inquinanti ambientali, i campioni che hanno fornito risultati irregolari per la presenza di residui sono stati, in tutto, appena 12: lo 0,4 per mille del totale, praticamente nulla. Inoltre, si tratta per lo più contaminanti ambientali e in nessuno dei 30mila campioni esaminati è stata trovata traccia di ormoni.

In Italia l’uso di #ormoni della crescita negli #allevamenti è vietato dal 1981. Gli #antibiotici si possono invece usare, solo se strettamente necessario. Condividi il Tweet

E gli antibiotici? Anche questo tema suscita sempre particolare attenzione, soprattutto per il problema dell’antibiotico-resistenza e l’impatto sulla nostra salute. Ma anche qui purtroppo circola molta disinformazione. Gli antibiotici non vengono somministrati in modo indiscriminato agli animali da allevamento, come molti credono. La somministrazione di antibiotici in via preventiva è vietata nell’Unione europea dal 2006, e il loro impiego negli allevamenti è consentito solo per curare l’animale, se compaiono in allevamento i primi segni di un’infezione. Come per gli esseri umani o per gli animali da compagnia quando stanno male, serve dovere curarli, per evitare inutili sofferenze.

A proposito di “pet” e di somministrazione scorretta o eccessiva degli antibiotici, degno di nota è che, secondo il sistema di farmacosorveglianza del Ministero della salute, degli oltre 7 milioni di ricette veterinarie del 2021, l’85% è stato emesso per i nostri amici a quattro zampe, non quelli negli “allevamenti intensivi”. Grazie all’introduzione della ricetta elettronica veterinaria, operativa già dal 2019, è infatti emerso il forte divario fra il numero di ricette destinate agli animali da reddito (circa 4 milioni) rispetto a quelle per gli animali da affezione (34 milioni). Cifre ancora più impressionanti se consideriamo che l’Italia detiene il record europeo per numero di animali da affezione: circa 30 milioni di animali, il doppio di bovini e suini messi insieme.

Negli allevamenti protetti (non intensivi), l’utilizzo dell’antibiotico è sempre subordinato al rispetto di regole ben precise e viene autorizzato solo dalle Autorità Sanitarie, che concedono le autorizzazioni solamente alle sostanze di cui è dimostrata l’efficacia, la sicurezza e di cui si conoscono le caratteristiche metaboliche, cioè in quanto tempo vengono “smaltite” dall’organismo animale. A proposito, esiste anche una lista ben precisa di antibiotici che possono essere impiegati negli allevamenti e ognuno di questi può essere somministrato solamente con una prescrizione da parte di un medico veterinario, dopo che questi ha visitato l’animale e diagnosticato la malattia. Inoltre, il loro impiego deve essere limitato nel tempo, solitamente per 3-5 giorni, e gli animali possono essere macellati soltanto dopo che i farmaci siano stati completamente smaltiti.

Degli oltre 7 milioni di #RicetteVeterinarie del 2021, l’85% è stato emesso per i #PET, non per gli #animali negli #AllevamentiIntensivi. Condividi il Tweet

Per ogni farmaco ed ogni specie esistono una dose ben precisa di somministrazione ed un “periodo di sospensione”, cioè un lasso di tempo che occorre aspettare prima di macellare l’animale, così che l’antibiotico venga totalmente eliminato dall’organismo e non ne resti alcuna traccia nelle carni e nei prodotti che mangeremo. Le dosi e i tempi di sospensione sono appositamente studiati, in modo da non avere residui nelle carni e altri prodotti animali, come latte e uova, per tutelare la sicurezza dei consumatori e scongiurare fenomeni di antibiotico-resistenza.

Anche in questo caso i controlli sono molto severi, negli allevamenti, al momento della macellazione e nei punti vendita, effettuati periodicamente e senza preavviso, con piani di campionamento annuali per verificare l’assenza di residui pericolosi. I risultati di questi controlli dimostrano che i campioni irregolari hanno numeri irrisori. Il più recente rapporto dell’EFSA (Ente europeo per la sicurezza alimentare) sulle produzioni di origine animale conferma che, sugli oltre 600 mila campioni esaminati, solo l’1,7 per mille ha presentato tracce di sostanze indesiderate, a volte solo contaminanti ambientali.

L’Unione europea è l’area in cui si eseguono più controlli al mondo, e l’Italia da sola ne fa più di tutta la stessa UE messa insieme. Le sanzioni a tal proposito sono molto severe, arrivando anche a 60.000 euro, per cui all’allevatore conviene farsi trovare in regola. Oggi, anche grazie alla ricetta elettronica veterinaria, è possibile un monitoraggio puntuale dell’utilizzo reale degli antibiotici negli allevamenti, in quanto non si prende più in considerazione la sola vendita dei farmaci, come fatto finora, ma la loro effettiva somministrazione. I dati di vendita, infatti, possono non corrispondere con quelli del reale consumo, verosimilmente più basso. Per questo il recente Regolamento europeo 2019/6 precisa il nuovo percorso da seguire, aggiornando le procedure per la messa in commercio dei farmaci veterinari, rendendo obbligatoria la raccolta dei dati del loro reale consumo.

Oggi, anche grazie alla #RicettaElettronicaVeterinaria, è possibile un monitoraggio puntuale dell’utilizzo reale degli #antibiotici negli #allevamenti. Condividi il Tweet

Tutti i Paesi UE e dello Spazio Economico Europeo (SEE) saranno tenuti a utilizzare un’apposita piattaforma informatica per comunicare all’Agenzia europea del farmaco (EMA, European Medicines Agency) il dettaglio sull’uso degli antimicrobici negli animali. L’obbligo è scattato a gennaio 2024 ed è imposto per ogni specie animale. Non più, dunque, solo una generica verifica sulla produzione e vendita dei singoli principi attivi, ma un preciso riferimento su quali animali sono impiegati questi farmaci e in quale misura.

Grazie all’aumento del benessere animale in allevamento e al ricorso alle vaccinazioni, inoltre, l’impiego degli antibiotici si è enormemente ridotto. Meno 53% a livello generale e meno 62% nel caso dell’Italia. I dati raccolti da ESVAC (European Surveillance of Veterinary Antimicrobial Consumption) non lasciano dubbi a questo proposito. Dal 2011 al 2018 nel comparto avicolo il consumo di antibiotici è calato dell’82%, a testimonianza dell’impegno delle aziende e di tutto il settore.

Nelle stalle il ricorso agli antibiotici è responsabilmente limitato all’indispensabile e per sconfiggere la crescita dei fenomeni di antibiotico-resistenza occorre guardare soprattutto altrove. La zootecnia è l’unico comparto che ha raggiunto questi risultati, mentre non si può dire lo stesso per la medicina umana, dove l’impiego e l’abuso di antibiotici è ancora massiccio, a volte eccessivo, fin dall’età pediatrica. Grazie alla messa in campo di tutte le sue migliori risorse, la zootecnia continuerà a dare risposte concrete ed efficaci per la lotta contro l’antibiotico-resistenza, garantendo allo stesso cibo sicuro per tutti.

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.