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Meat sounding, se a carni e salumi si ruba il nome

La commercializzazione di beni che si richiamano in modo improprio a prodotti universalmente conosciuti come sinonimo di qualità, genuinità e provenienza localizzata è molto frequente nel mercato agroalimentare. Pensiamo alle famose mozzarelle, al parmigiano, ai pomodori, al prosciutto e all’aceto. In questo scenario, su cui le associazioni di consumatori sono costantemente allertate, si inserisce ora un fenomeno nuovo: il Meat sounding, vale a dire la commercializzazione sempre più diffusa di prodotti vegetali o per vegani che si presentano assumendo una definizione commerciale che richiama invece prodotti fatti con materie prime ben diverse.

Salame vegano, bistecche di tofu, scaloppine, cotolette e spezzatini di soia, hamburger vegetali: i prodotti di origine vegetale che richiamano alla mente quelli carnei sono sempre più diffusi, e le nuove frontiere del marketing sembrano voler sfruttare al massimo questo inedito abbinamento. Con il Meat sounding appare dunque doveroso porsi una domanda: è giusto orientare l’acquisto dei consumatori di questi prodotti, aventi determinate caratteristiche (nutrizionali e non solo), denominati però in questo modo?

Se si considerano gli aspetti nutrizionali di un alimento, potrebbe infatti risultare fuorviante presentare un prodotto vegetale come fosse un alimento di origine animale, con caratteristiche nutrizionali, metodi di produzione e provenienza localizzata completamente diverse. Ad esempio, un prodotto che imita la carne, ma che è composto di proteine e fibre vegetali, non ha sicuramente le stesse componenti nutrizionali.

Secondo Dario Dongo, avvocato, giornalista e fondatore del progetto Great Italian Food Trade, la denominazione di vendita di prodotti “vegan” che usano nomi di prodotti carnei sarebbe addirittura illegale. “La denominazione dell’alimento è la prima informazione obbligatoria prescritta in etichetta, al preciso scopo di chiarire al consumatore la natura del prodotto offerto”, scrive Dongo sulle pagine de Il Fatto Alimentare: “È dunque palese l’illegittimità di diciture quali würstel, salame, salsiccia, filetto, arrosto, bistecca, bresaola o prosciutto su alimenti di origine vegetale, i quali appartengono a una categoria diversa da quella a cui queste denominazioni usuali sono riferite”. Ad oggi “le autorità di controllo – che nel corso degli anni hanno sottovalutato il problema, in origine relegato a un fenomeno di nicchia – sono ora prive di strumenti sanzionatori specifici”, precisa l’avvocato.

La battaglia per una corretta informazione ai consumatori non deve dunque conoscere sosta. Anche perché la buona reputazione nel mondo di molti prodotti a base di carne e degli insaccati è legata a metodi di produzione, tradizioni e fenomeni culturali secolari che, senza entrare nel merito della questione tecnico-giuridica sollevata dal Fatto Alimentare, non è comunque giusto che siano, in nome di un marketing aggressivo, accomunati a prodotti alimentari privi di ciò e che si sono solo di recente affacciati sul mercato.

Prodotti che, fra l’altro, vengono favoriti anche grazie a continui ingiustificati attacchi mediatici al settore zootecnico.

 

Redazione Carni Sostenibili

Il Progetto “Carni Sostenibili” vuole individuare gli argomenti chiave, lo stato delle conoscenze e le più recenti tendenze e orientamenti tecnico scientifici, con l’intento di mostrare che la produzione e il consumo di carne possono essere sostenibili, sia per la salute che per l’ambiente.