
Un mondo senza proteine animali? Inconcepibile
Il professor Pulina, in un’intervista al FQ Extra, coprendo vari argomenti spiega un po’ di cose che ancora non sono chiare al pubblico italiano su zootecnia e consumo di carne.
Eliminare il consumo di proteine animali non è possibile, specie vista la crescita della domanda nei paesi in via di sviluppo. L’unica strada è cercare di continuare a produrre carne impattando sempre di meno. È la posizione di Giuseppe Pulina, professore Ordinario di Etica e Sostenibilità degli Allevamenti presso il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari e autore del volume scritto con Elisabetta Bernardi e Ettore Capri, “Carni e salumi: le nuove frontiere della sostenibilità” (Franco Angeli editore). Pulina spiega come gli allevamenti italiani stiano facendo passi in avanti, sia sul fronte del consumo di acqua che della riduzione di antibiotici, grazie soprattutto ad un uso intelligente della tecnologia. Una strada da continuare a percorrere per ridurre sempre più gli impatti della filiera.
E rispetto al tema del caldo, di cui soffrono anche gli animali, ricorda come “gli animali soffrono il caldo più di noi, perché hanno una temperatura più alta (39 gradi!) e perché alcuni non sudano (i cani). Occorre garantire loro ombra e acqua pulita e fresca. Per i grandi ruminanti poi le stalle dovrebbero essere dotate di doccette che bagnano le vacche e di ventilatori che aiutano ad abbattere la temperatura superficiale”.
Perché non è possibile concepire un mondo dove non si consumino proteine animali? Non dovremmo andare verso una dieta quasi esclusivamente su base vegetale?
Dipende dal tipo di vegetali che vogliamo inserire nella dieta. FAO e OCSE ci informano che a livello mondiale gli alimenti vegetali di base dell’alimentazione umana (riso, frumento e mais) aumenteranno del 20%, seguendo l’incremento demografico, mentre quelli di origine animale (ASF: Animal-source food) del 35%, seguendo l’incremento di reddito.
Nel futuro dell’umanità, in media, le diete saranno più ricche e non più povere in proteine di origine animale. Purtroppo, poi, dal consumo di verdure fresche e frutta sono escluse le fasce di reddito più deboli a causa non solo degli elevati costi ma anche della reperibilità di questi cibi: i deserti del cibo (food desert) che offrono principalmente cibi ultra-processati, seppur a base vegetale, e a basso costo, sono l’anticamera dell’obesità e di altre malattie metaboliche.
Se la domanda di proteine animali aumenta, come si potrà renderla sostenibile?
La sfida è quella di produrre di più continuando a impattare sempre meno. Un percorso già in parte intrapreso dal settore agricolo, che a livello mondiale ha ridotto le emissioni pro-capite del 20% in 30 anni a fronte di un aumento della popolazione di 2,5 miliardi di individui. E questo grazie a tecnologie sempre più intelligenti e sostenibili.
Per venire al nostro paese: l’Italia è un Paese in cui il consumo reale di carni pro-capite è responsabile (circa 32,9 kg/anno a persona), in linea con le raccomandazioni WHO e FAO. Una piccola precisazione: con consumo reale intendiamo i consumi che comprendono solo le parti edibili dell’animale, spesso i dati che circolano possono essere poco chiari perché includono anche parti non commestibili come ossa, grasso, cartilagini etc.
Difficile però negare che gli allevamenti consumino grandi quantità di acqua, producano emissioni, impattino sul consumo di suolo.
Rispetto alle emissioni, vediamo un po’ di cifre. L’inventario EU del 2021 ci informa che il primo settore per emissioni è l’energia (27% del totale EU), seguito dai trasporti (22,5%) dall’industria (22%) e dai consumi residenziali (13%), mentre l’agricoltura si colloca al quinto posto con l’11%.
Guardando all’Italia i dati sono ancora più efficienti: il comparto agricolo pesa per il 7,8% sul totale delle emissioni climalteranti e di queste il 4% sono imputabili alla filiera del bovino (carne e latte).
Ma possono esistere davvero allevamenti sostenibili?
Io insegno una disciplina universitaria dal titolo ‘Etica e Sostenibilità degli Allevamenti’ che è parte del percorso formativo degli agronomi zootecnici e campo di studio attualmente fra i più rilevanti nella comunità delle scienze animali. Sostenibile è una attività umana in grado di non consumare o di limitare al massimo il consumo di risorse non rinnovabili o riciclabili. I sistemi più sostenibili, in quanto intrinsecamente rigenerativi, sono quelli agricoli a patto che siano efficienti. Sotto certi aspetti, l’intensivizzazione – che non significa in teoria mettere molti animali in poco spazio, ma aumentare il grado di conoscenza inserito nel sistema (knowledge intensification) – è la modalità più diffusa nei sistemi produttivi per essere più sostenibili, perché a produzioni maggiori corrisponde un minor uso di risorse e quindi minori scarti. Chi meglio produce meno inquina.
È vero che le carni bianche sono meno impattanti delle rosse?
L’allevamento di bovini e agnelli può essere sostenibile come l’allevamento di polli e suini. L’importante è che siano ben condotti e organizzati per garantire il più possibile il riciclo degli effluenti dell’azienda, con produzione di energia (es. biogas) e di concimi organici, gli unici, tra l’altro ammessi nelle coltivazioni biologiche. Poi, non dimentichiamo che i bovini, a differenza dei polli e suini, sono animali ruminanti e con un ciclo di vita più lungo. Infine, le caratteristiche rurali della produzione bovina consentono la salvaguardia e tutela del territorio, prevenendo il dissesto idrogeologico e l’abbandono delle aree marginali grazie alla presenza costante dell’allevatore/agricoltore.
Non potremmo trasformare le nostre diete, tenendo porzioni simboliche di carne in modo da tenere insieme tradizione e sostenibilità?
In Italia la dieta mediterranea ci indica dosi e frequenza dell’uso della carne nella nostra cucina tradizionale. Dietologi e nutrizionisti, lo sanno bene e sono loro a dover indicare le corrette dosi per ogni dieta, soprattutto in quelle destinate ai bambini, ai giovani in età evolutiva, agli anziani, agli sportivi, e alle donne gestanti. Esistono comunque importanti linee guida nutrizionali del CREA consultabili per tutti coloro che cercano informazioni su una dieta corretta.
Non ci vorrebbe tuttavia maggiore trasparenza da parte delle grandi aziende che producono carne? Inchieste giornalistiche hanno svelato spesso truffe – come quelle nella filiera del pollo biologico – e condizioni tremende per gli animali. Come l’opinione pubblica può fidarsi?
Il Ministero della Salute esegue controlli continui e severi sia sulla qualità del cibo che mangiamo (vegetale e animale), sia sul benessere animale. Nel caso dei polli, nel 2022, le ispezioni su un campione significativo hanno rilevato non conformità alle norme (molto stringenti) sul benessere animale soltanto nel 2,9 % degli allevamenti controllati: proiettato sulla popolazione significa che sugli oltre 2.380 allevamenti nazionali solo 69 non rispettano le norme sul benessere. È proprio la severità dei protocolli di biosicurezza adottate dagli avicultori ad aver consentito di ridurre in dieci anni il consumo di antibiotici del 90% (si noti che nello stesso periodo la riduzione nell’uomo è stata solo del 18%).
Visitare un allevamento, così come un’oasi faunistica, richiede un approccio informato: non sempre ciò che noi pensiamo sia benessere lo è anche per gli animali. Sui maltrattamenti, il caso è a parte: di fatto è un reato penale (Art. 554 bis del c.p.) che va perseguito qualsiasi sia la specie animale coinvolta.
Come si posiziona, infine, rispetto al tema etico dell’uccisione degli animali?
Uccidere senza una buona ragione è sempre sbagliato, che si tratti di insetti, piante o plantigradi. Si possono uccidere animali (insetti, ratti metropolitani, volpi portatrici di rabbia, fauna pericolosa per l’incolumità, etc.) quando l’interesse per l’uomo prevale. Poiché alimentarsi è un diritto primario dell’umanità, questo può giustificare il sacrificio degli animali zootecnici, a patto che questo sia condotto senza arrecare stress o inutili sofferenze agli animali.
Fonte: FQ Extra, di Elisabetta Ambrosi